martedì 21 febbraio 2017
Teorema dell'incompletezza
di Valerio Callieri
Due fratelli, due uomini,
l'ordine e il caos, un padre ucciso nel suo bar durante una rapina con una
beretta, dubbi sul vero assassino che vengono a galla sette anni dopo, gli
antipodi che si avvicinano per scoprire la verità.
Il romanzo d'esordio di Valerio
Callieri (Premio Calvino 2015) è per la maggior parte narrato in prima persona
da uno dei due fratelli, non il poliziotto Tito, l'altro, Chicchè per le
signore di Centocelle, mente brillante, intelligente, sarcastico, disturbato
nei suoi ragionamenti da delle cavallette battagliere che mettono in dubbio
ogni suo pensiero, cattive consigliere, fastidiose conviventi, apparse dopo
giorni di assunzione incontrollata di droghe. L'elaborazione del lutto è un
processo del tutto soggettivo e Chicchè ha deciso di superare la morte del
padre allontanandosi dalla realtà, negando che gliene importi qualcosa; le
droghe, quindi le allucinazioni, quindi le cavallette. Il suo atteggiamento
riguardo la morte del padre viene messo in discussione dopo il ritrovamento di
una cornice rubata durante la rapina al bar, una cornice che per anni era stata
appesa su un muro dietro la cassa, una cornice che non custodiva una foto ma le
medaglie dei tre scudetti della Roma. Esaminandola attentamente insieme alla
sua amica Elena, esperta di informatica e appassionata matematica, trovano
un'incisione in codice: non lasciarmi sola Clelia 1979.
Questo evento scatena le
cavallette nella sua testa e genera un evento inspiegabile: inizia ad
avere delle visioni del padre che, come non ha mai fatto da vivo, gli racconta
la sua storia, da quando da piccolo in “trasferta” da Centocelle si ritrovò in
una casa in Prati e rubò la prima delle tre medaglie custodite nella cornice,
fino alla sera della sua morte. Nonostante da anni i due fratelli non si
frequentino, informa Tito dell'incisione sulla cornice ma lui sa già qualcosa.
Tito è un poliziotto e ha avuto in eredità dal padre un grande amico,
Pierpaolo, che lo ha già informato su Clelia chiedendogli di indagare senza
però fare troppo rumore. Tito è integerrimo, crede fermamente nel suo lavoro,
nella giustizia, nel sistema; lui durante il G8 di Genova nella caserma di
Bolzaneto ha seguito il sistema, lo conferma e lo difende.
Entrambi separatamente iniziano
ad indagare, l'uno in maniera istituzionale, l'altro con visioni, deduzioni
matematiche; l'uno, il poliziotto, nella Torino dove il padre è stato un
giovane operaio in Fiat, l'altro nella
Centocelle dove il padre è tornato per ricostruire la sua vita.
Si scoperchia il classico vaso di
Pandora: attraverso le indagini dei due fratelli, Callieri ci racconta
sessant'anni di storia italiana: le lotte operaie, le Brigate Rosse, i troppi
morti senza sepoltura degli anni di piombo, il caso Moro e soprattutto il
memoriale che Moro ha scritto in prigionia. E il G8 di Genova, la Tav, le logge
massoniche tutto quello che ha segnato la nostra storia recente.
Tutto per arrivare ad una
verità, ma la verità non è mai assoluta e Callieri ce lo spiega attraverso la
brillante voce matematica di Elena con il “teorema dell'incompletezza” di Gödel
(dovete leggerlo per capire, se provassi io a spiegarlo “mi uscirebbe il cervello dal naso” come a
Chicchè!).
Citazioni letterarie,
filosofiche, matematiche, la musica di Springsteen, la nostra Storia , per
la quale la ricerca è stata evidentemente imponente e precisa, e soprattutto
Roma, tanta Roma, bella, seducente, nostalgica. Questi gli elementi che insieme
a dei personaggi definiti e ben descritti fanno del romanzo d'esordio di
Valerio Callieri, un romanzo da leggere, gustare, rileggere e far decantare. La
scrittura a tratti complessa, ci riporta pensieri ed emozioni dei protagonisti,
ma se riusciamo ad abbattere le cavallette, alla fine tutto sarà chiaro...forse!
Le due metà del mondo
di Marta Morotti
La scuola è appena finita, Maria ha avuto un buon voto alla
maturità, vorrebbe proseguire gli studi, fare psicologia, imparare come poter
curare, aiutare, “i matti”; ma non può, a settembre inizierà il lavoro in fabbrica
perché la sua famiglia ha bisogno del suo aiuto e lei, con rassegnazione,
accetta di non seguire il suo sogno. Una rassegnazione che da anni ormai fa
parte della sua vita, da quando si è capito che il suo fratellino Omar aveva un
ritardo mentale. Prima dell'arrivo del fratello, la sua sembrava una famiglia
perfetta, non erano ricchi ma mamma e papà si amavano e adoravano la loro
piccola Maria. Con Omar tutto è cambiato, i genitori sempre nervosi, tristi e
lei che non capisce proprio il perché, “in fondo Omar è nato solo un po' prima
degli altri”.
Crescendo capisce ed inizia a sentire il peso del fratello
ingombrante, del padre sempre più assente e del rapporto con la madre che
diventa sempre più debole; si chiude sempre più in se stessa, creandosi attorno
un muro, non facendo entrare nessuno se non Salvatore, il suo migliore ed unico
amico.
L'estate della maturità,
l'ultima da adolescente, l'assenza di Salvatore partito per le vacanze la fa
sentire ancora più triste e sola, tanto da non poterne più e dopo ore di
ripensamenti decide di chiamare l'unica ragazza con cui pensa di poter
scambiare due chiacchiere. Perché Maria in fondo quel mondo che ha chiuso fuori
vorrebbe conoscerlo, viverlo e quell'estate troverà il coraggio di farlo e
soprattutto di vivere la realtà.
Il romanzo d'esordio di Marta Morotti “Le due metà del
mondo” è diviso in due parti: una nella quale Maria ci racconta la sua vita, la
sua realtà, i sogni, le speranze disattese, la voglia di cambiare; un'altra in
cui è la mamma, Lucia, a raccontarci la realtà, le difficoltà della vita
famigliare, i tentativi di superare una tragedia.
La giovane scrittrice Marta
Morotti narra fatti tristemente reali e molto forti, ma lo fa con una
delicatezza, in particolare nella prima parte, che ammorbidisce le intense
sensazioni che scatenano. Con una scrittura scorrevole e molto curata ci porta
nel mondo di Maria e della sua famiglia, nella sua tragedia e con estrema
grazia ci accompagna con loro verso una nuova realtà tutta da vivere.
L'apparenza delle cose
di Elizabeth Brundage
Non è possibile incasellare il
romanzo “L'apparenza delle cose” in un solo genere letterario: noir, romanzo
gotico, romanzo psicologico, narrativa; non si può perché c'è tutto e tutto è narrato
con una bravure, una grazia, uno sguardo, una prosa capaci allo stesso tempo di
commuovere e inquietare.
Il romanzo si apre con un
omicidio efferato: George Clare, professore di storia dell'arte, rincasando dal lavoro trova sua moglie, la
bella, giovane Cathrine Clare, uccisa con un colpo d'accetta in testa e la loro
figlioletta di tre anni, Franny, che pare abbia vegliato tutto il giorno la
“mamma malata”.
Si direbbe un thriller ma è
proprio qui che la scrittrice ci stupisce e cattura con tutta una serie di
flashback che raccontano la vita della giovane coppia da poco trasferitasi a
Choosen (cittadina immaginaria) nella provincia dello stato di New York; la
storia della famiglia che abitava prima la casa dei Clare e della tragica fine
dei proprietari; dei figli di questi ultimi, rimasti orfani, accolti in casa
dallo zio Rainer; la storia di Mary, l'immobiliarista che mostra la casa ai
Clare e quella di suo marito Travis, lo sceriffo, che indagherà sull'omicidio.
La vita di una bucolica cittadina nella Hudson River Valley, i suoi incantevoli
panorami, gli inverni rigidi, una piccola comunità unita, ma, come spesso
accade, solo in apparenza. Tutto il romanzo ruota attorno al concetto di
“apparenza” intesa come manifestazione esteriore che non corrisponde alla
realtà.
Prendo in prestito le parole di
uno dei personaggi per descrivere la sensazione che si prova durante la
lettura: “L'anima vede quello che l'occhio non può vedere”...sappiamo, nel
profondo, ma lo vogliamo veramente ammettere?
La figlia femmina
di Anna Giurickovic Dato
Bella, sensuale, spregiudicata, Maria sa come ammaliare un
uomo, fargli fare quello che vuole; niente di stano, se non fosse che Maria ha
tredici anni e l'uomo che tenta di sedurre è il compagno della madre, Silvia.
Una madre che resta attonita, inerme, si addormenta per
non vedere, per non capire ed affrontare la realtà. La stessa
realtà che ha distrutto già una volta le loro vite.
Silvia e Maria ora vivono a Roma ma fino a quattro anni
prima erano in Marocco, e c'era un padre, Giorgio, impiegato presso
l'ambasciata italiana. Un padre che con Maria, fin dai suoi cinque anni, ha
avuto un rapporto malato, per usare un eufemismo; un padre che quando Maria ha
nove anni muore cadendo da una finestra. Suicidio? Incidente? Assassinio?
E una madre, Silvia, che non vede, non ascolta,
completamente soggiogata da Giorgio e dal loro falso amore; una madre che
quando viene a sapere la gravità della realtà prova a reagire, a proteggere
Maria, prima di tutto allontanandola dal Marocco, facendo il gioco del
"non ricordo", cercando di cancellare anziché affrontare.
Il romanzo d'esordio di Anna
Giurickovic Dato indaga uno dei crimini peggiori, non entra mai nel
particolare, non le interessa, ma penetra nei personaggi, nelle reazioni, i pensieri, le
azioni. Per la maggior parte del romanzo la storia ci viene narrata dalla
stessa Silvia, una donna che ricordando prova quasi a trovare un alibi, una
scusa per la sua indolenza, nonostante le sia chiaro che avrebbe dovuto sapere,
capire; una madre che lascia scorrere il tempo sperando cancelli tutto. Ma è
evidente, almeno per noi che leggiamo, che per Maria invece più il tempo passa
più la ferita si allarga, si espande nella sua psiche facendole pensare, forse,
di essere stata lei a provocare; facendole credere, forse, che è meglio
aggredire e soggiogare prima che venga fatto a lei; facendole vedere,
sicuramente, una madre che preferisce non reagire; facendole, sicuramente,
decidere di provocare quella madre perché si muova, gridi, spinga, aggredisca
chi la figlia fa soffrire e infine la protegga!
Una psicologia quella del romanzo "La figlia
femmina" narrata con precisione e sapienza. I sentimenti che scatena la
lettura sono molteplici: rabbia, frustrazione, tenerezza, angoscia e alla fine,
forse, un'idea di speranza. Speranza che una vita spezzata, anzi due, insieme
riescano a ricomporsi prendendo di petto quella nuova vita che si ha davanti,
cercando di rinsaldare le crepe create da altri.
Come recita una fiaba giapponese raccontata nel romanzo:
"Il dolore ti insegna che sei viva, bisogna valorizzare il solco che
lascia".
Anche questo, a parer nostro, un ottimo esordio,
coraggioso ed intelligente. Molto consigliato!
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